Descrizione:
Villa Celiera è un comune italiano di 802 abitanti della provincia di Pescara. Fa parte della Comunità montana Vestina.
Villa Celiera è sorta in epoca medioevale, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.c.), evento preceduto, determinato in buona parte, e seguito da numerose invasioni barbariche : fra queste, particolarmente lunga e storicamente importante la longobardica, per le trasformazioni sociali cui dette luogo e per l’assetto politico che realizzò con i “ducati”.
Villa Celiera si è probabilmente formata tra il V° e il VI° secolo dell’Era Volgare. A popolarla sarebbero state le persone scampate alla distruzione di Bertona, cittadina i cui ruderi, sul monte omonimo, sono tuttora visibili.
Il Medio Evo, certo creò molteplici occasioni al nascere di nuove comunità, poiché le guerre d’invasione che lo caratterizzarono spingevano gli abitanti delle località toccate o minacciate dagli invasori a trovarne altre, più sicure per la loro esistenza, al riparo dalle scorrerie di saccheggiatori.
L’ubicazione di molti insediamenti dell’epoca dipese anche da motivi strategici e logistici; difesa naturale contro gli attacchi dei nemici, disponibilità di risorse agricole provenienti dall’entroterra coltivabile.
Sotto il profilo della genesi di molte comunità, sono da tener presenti i Benedettini i quali, con la loro regola “Ora et labora”, non solo contribuirono a salvare il salvabile ( e fu molto ) dalle distruzioni dei barbari, ma inglobarono, per così dire, moltri altri insediamenti intorno alle loro comunità cenobitiche. Ed è probabile che Villa Celiera gravitasse con tutta la sua vita intorno all’abbazia di Santa Maria Casanova, che sorge molto vicina al paese. Questa fu fondata nel 1191 da Margherita, contessa di Loreto e Conversano, con un duplice intento: propiziatorio per la partecipazione del figlio Berardo II° a una crociata, e commemorativa e suffragante per il marito Berardo I°, fratello di Ottone, XV° vescovo di Penne.
Furono circa 500 i monaci Cistercensi, fondati da S. Bernardo, appartenenti all’Ordine benedettino, di stretta osservanza, cioè dediti ad una rigida vita monastica. Avevano per emblema un agnello con croce, scolpiti su pietra con figure a rilievo. Monaci, i Cistercensi, dediti alla preghiera, allo studio, al lavoro e alle belle arti. I loro possedimenti si estendevano dalla montagna di Villa Celiera sino a Lucera di Puglia, alle isole Tremiti e, per quello che più ci riguarda, comprendevano anche i territori di Cordano, di S. Benedetto e Camposacro, tra Civitella e Pianella, e quelli di Vestea, Carpineto e Brittoli. Si può affermare che i Benedettini di Casanova costituirono una centrale operativa che dava lavoro a molta gente e teneva unita intorno a sé varie comunità. Essi, divenuti maestri nell’agricoltura e nella conduzione degli allevamenti, seppero, da par loro, mettere a frutto le risorse naturali presenti nelle loro terre, avvalendosi appunto dell’opera dei “ laici ”.
Di fondazioni benedettine erano, si può dire, piene le regioni d’Abruzzo di quell’epoca. Ai Cistercensi di Casanova vennero ad aggregarsi nel 1258, con il benestare del Re Manfredi, per espressa volontà di Papa Alessandro IV°, i frati del Cenobio, già celebre, di S. Bartolomeo in Carpineto, sicché venne rafforzata l’orbita abbadiale di Casanova. E si trovarono uniti nel medesimo scopo dell’ “Ora et labora”, Cistercensi e Benedettini, questi ultimi già presenti in Carpineto fin dal 962 e provenienti dal quel convento ancora oggi visibile con la torre ed i ruderi. Vi si aggiunse, nel 1311, essendo Papa Clemente V°, anche il Monastero di S. Giovanni in Lamis.
Villa Celiera, dunque, in mezzo a tanti cenobi, al centro di una vasta zona di insediamento monacale, doveva avere, ed ebbe, un suo ruolo preciso. Si sa infatti che il paesino funzionava da deposito del convento di Casanova e forse degli altri conventi aggregati e ruotanti nello stesso àmbito cenobitico. Lo dimostrerebbe il suo stesso nome che, originato dalla primitiva destinazione a “ Cella ” vinaria, olearia, frumentaria eccetera, fu in un primo tempo Cellaria, derivante da latino del basso medioevo Celleria, alterato in Celeria, ed infine di Celiera. A questo nome, usato da solo fino ai primi anni del nostro secolo, è stato premesso il termine di Villa, dopo la separazione amministrativa del comune di Civitella Casanova, di cui prima era stata una frazione. Per le popolazioni della zona e di quelle limitrofe, è però rimasto inalterato l’originario significato: solo nel linguaggio ufficiale o tra i forestieri si suol dire “Vado a Villa Celiera, è di Villa Celiera” ; i conterranei per così dire periferici parlano di Celiera, quelli più vicini reintroducono addirittura l’articolo e dicono “La Celiera”,o “ La Cilire”.
L’Abate di Vestea, nella sua opera “Penne Sacra”, ci informa che Santa Maria Casanova si mantenne per oltre sette secoli una delle più famose e ricche abbazie dell’Abruzzo. L’importante cenobio di Casanova fu investito anche di speciali incarichi da Carlo d’Angiò, il quale, a ricordo della grande vittoria conseguita a Tagliacozzo su Corradino di Svevia, fece erigere una chiesa con annesso monastero. Della fondazione, intitolata a Santa Maria della Vittoria, furono incaricati i Cistercensi di Casanova. Fu una comunità che senza dubbio godette di meritata risonanza e di grande prestigio: da essa provennero alla chiesa due vescovi, entrambi assegnati alla sede pastorale di Penne, rispettivamente Gualtiero nel 1200 e Giacomo nel 1251.
Per lunghi secoli il monastero si rese famoso per la presenza di monaci illustri e di eminenti studiosi che, con la loro opera, salvarono l’antica cultura e crearono cultura nuova, lasciando interessanti manoscritti di storia e copie di scrittori classici greci e latini in caratteri longobardi. Basti ricordare per tutti l’abate Erimondo, che produsse lavori di tecnologia e su argomenti sacro-religiosi molto importanti, e tali che il grande cardinale Federico Borromeo, in visita ai Cistercensi di Casanova, volle portarseli con sé, lasciando, in segno di tangibile ricordo e riconoscimento, i suoi paramenti prelatizi. Questi, insieme con gli altri arredi e con le opere d’arte furono asportati nel 1807 dai Civitellesi, nella cui chiesa si possono ammirare, oltre al coro in noce e all’organo, la Madonna Assunta, bellissima statuetta su base di pietra, in stile corinzio, vero cimelio di autentico valore storico e artistico.
I segni della nostra storia e della nostra cultura sono sicuri e documentati: è certo che buona parte della biblioteca del convento si trova nella celebre biblioteca Ambrosiana di Milano, fondata da S. Carlo Borromeo, del quale Casanova fu commenda.
Dopo il saccheggio del 1807 il convento, con il beneplacito dei Borboni, fu affidato ai Carmelitani, che però furono molto presto richiamati a Penne. Dopo di che, dice lo scrittore “vesteiese” Massimo Di Zio, << la spoliazione del convento fu continuata da cima a fondo >>, fino, secondo lo storico Straforelli, ad asportare e divellere tetti e pavimenti. E la distruzione fu completa. (Quod non fecerunt barbari … quello che non fecero i barbari…).
Oggi, a distanza di tanti secoli, dell’antico splendore di un’opera così eccellente quale era la Badia di Casanova e annesso convento non rimane che un cumulo di ruderi completamente abbandonati. A sanare, quasi, l’incuria degli uomini, ha provveduto, però, la natura stessa, che con espressione pietosa ha ricoperto quei ruderi di erbe e fiori, quale omaggio spontaneo a tanta grandezza tramontata.